Sospesi tra storia e sentimento
Sì, "sospesi tra storia e sentimento"... l'emozione che scaturisce dalla lettura del libro di Rocco Perrone "Da Pietra Castalda a Sasso di Castalda".
Qui di seguito parte dell'introduzione e del primo capitolo.
Qui di seguito parte dell'introduzione e del primo capitolo.
Il sentimento
Scrivere la storia del proprio paese è un’impresa affascinante e, allo stesso tempo, irta di rischi.
Un rischio, di sicuro, è quello di favoleggiare, vale a dire caricare di significati improbabili luoghi, avvenimenti e personaggi che, lontani dal sacro fuoco domestico, avrebbero oggettivamente dimensioni ben più modeste. Di eroi, santi, principi e personaggi famosi sono piene zeppe le nostre storie municipali.
Quanti ponti attraversati da Annibale! Quante impronte di santi sulle rocce o sulle soglie delle chiese! Quante taverne che hanno rifocillato Garibaldi!
Non importa se non esiste un minimo di supporto documentato ed anche la tradizione popolare al riguardo è incerta: quando si riferisce al proprio paese tutto diventa possibile, anzi vero!
Così come chi, risalendo il proprio albero genealogico, cerca disperatamente un rivolo di sangue blu e, alla fine, finisce per trovarlo comunque.
In questo modo la leggenda prende il sopravvento sulla realtà, la fantasia sul rigore scientifico della ricerca; ed il percorso storico di una municipalità si trasforma, come in un caleidoscopio, in una cartolina per turisti, di quelle a fisarmonica, che si usavano una volta, o in una noiosa e stucchevole passerella di personaggi più o meno reali.
Ben altra cosa sono le vicende quotidiane di un popolo che attraverso i secoli ha vissuto speranze e delusioni, credenze e paure, entusiasmi e scetticismo, rivalità interne e con le comunità limitrofe, insomma l’intero bagaglio di costumi e tradizioni ereditato oggi, all’alba del terzo millennio.
Ben altra cosa davvero è la lotta quotidiana per la sopravvivenza, e la stratificazione di comportamenti individuali e collettivi che necessariamente ne deriva.
Come ha reagito e cosa ha pensato una piccola comunità arroccata sui monti dell’Appennino lucano di fronte alle tante calamità naturali: terremoti, epidemie, carestie? Come ha reagito e quanto ha partecipato la stessa comunità alle guerre, le rivoluzioni e tutti i grandi eventi che hanno caratterizzato la storia del Mezzogiorno d’Italia? Come viveva la prepotenza e l’arroganza dei feudatari locali e l’ingordigia fiscale di uno Stato sempre, per altri versi, così lontano da potersi paragonare ad una calamità sovrannaturale? Quale era la stratificazione sociale interna e quali i rapporti fra le varie componenti? Come e cosa si mangiava? Come ci si vestiva e come erano fatte le case? Come e dove si lavorava? Come si viaggiava? Come si nasceva e come si moriva? Come ci si sposava? Verso quali santi andava la vocazione popolare, e dove erano ubicati i luoghi di culto? Che nomi avevano nei secoli addietro le strade e i luoghi che noi conosciamo?
Sono solo alcune delle domande a cui ho cercato di dare una risposta.
Ma come, se non sei sicuro di saperlo e poterlo raccontare senza addormentare il lettore alla terza pagina?
Un sistema (ed io l’ho scelto, sperando di aver fatto cosa giusta) è quello di far raccontare se stessi e le proprie vicende agli stessi protagonisti, facendoli emergere dai polverosi documenti rinvenuti qua e là negli archivi di Stato, parrocchiali, diocesani, lasciando, dove possibile, anche il loro linguaggio.
Il tutto in un equilibrio sempre precario, con il rischio costante di scivolare nella banalità, o di non riuscire a dare vita ai personaggi e vigore agli avvenimenti.
Quando i nomi delle persone e dei luoghi che spuntano dai documenti si incrociano e si confrontano con quelli che emergono dai propri ricordi personali o dal ricordo dei racconti ascoltati nell’infanzia, allora cominciano ad affastellarsi ed a minare seriamente la serenità di giudizio, il distacco necessario per procedere in un lavoro scientifico. Immagini e figure, di ogni genere e di ogni epoca, si accalcano dietro il sipario, reclamando a ragione ognuna di entrare in scena, se non altro perché forse è l’unica occasione e il tempo o un incendio le farà sparire del tutto, o nessuno più andrà a cercarle. Ma per tutte non può esserci posto, a meno di non allagare di superfluo e banalizzare ciò che stai raccontando, ed è difficile ed anche doloroso operare una scelta, perché resta la sensazione che tutte ti appartengono ed a tutte sei in qualche modo legato.
Con queste premesse è maturata in me la convinzione di scrivere una storia de la Terra del Sasso, così come veniva chiamato nel lontano passato questo paese, e non di Sasso di Castalda, che è un appellativo postunitario. È nata la determinazione di fermarmi alla seconda metà dell’ottocento, subito dopo l’unificazione d’Italia, il brigantaggio e le prime emigrazioni.
Da quegli anni la storia di Sasso cambia totalmente: un’intera classe dirigente, che per secoli aveva retto, nel bene e nel male, le sorti di questa comunità, viene spazzata via e sostituita da nuovi amministratori, che usano metodi diversi, nuove leggi; l’eversione della feudalità, l’espropriazione dei beni ecclesiastici, con la conseguente drastica riduzione del clero, e lo sconvolgimento economico e sociale pressoché totale che questi due eventi provocarono (si pensi a cosa avevano rappresentato nell’economia rurale i prestiti della cassa sacra, il fitto e la mezzadria, il legnaggio e l’erbaggio); le ondate migratorie (che non sempre erano di poveri disperati, ma qualche volta di veri e propri rudimentali imprenditori o artigiani che si trasferivano con capitali in Sud America o negli Stati Uniti e ritornavano dopo qualche anno “arricchiti”); lo spopolamento e di conseguenza la maggior forza contrattuale e, forse la maggiore coscienza, della manodopera bracciantile: tutto quanto contribuì ad instaurare nella comunità cittadina, non senza drammi e tensioni, un sistema di rapporti totalmente diverso e, per altri aspetti, ne disperse la peculiarità, accomunandola a tutte le altre realtà, meridionali e non, tagliate fuori dai grandi traffici e dalla rivoluzione industriale.
Grandi tematiche, troppo importanti e delicate perché io potessi affrontarle compiutamente e serenamente insieme a questo lavoro; completamente diverse la predisposizione mentale e l’impostazione metodologica necessarie per affrontare temi di storia contemporanea che rasentano continuamente la cronaca giornalistica. Non si tratta più di scavare o di cercare pazientemente in giro qualche elemento riconducibile all’argomento che stai trattando, ma piuttosto di scegliere in mezzo ad una montagna di notizie utili ed inutili i pezzi giusti per comporre un puzzle credibile.
Si capisce dunque che tutto questo ha rappresentato un’esperienza faticosissima e comunque straordinaria, che spero di poter offrire come un utile contributo alla conoscenza ed a un processo di identificazione forte della mia terra e della mia gente.
Se tutto questo sarà riuscito almeno in parte, se uno solo dei miei concittadini avrà trovato in questo lavoro motivo di interesse e, magari, stimoli sufficienti per dedicarsi a continuarlo o ad operare approfondimenti, per me sarà motivo di grande soddisfazione ed orgoglio che ripagherà tutte le fatiche occorse.(...)
Grazie a tutti: se qualcuno troverà interessanti queste pagine, il mio e il vostro lavoro non sarà stato vano.
Sasso di Castalda 15 marzo 2005
Un rischio, di sicuro, è quello di favoleggiare, vale a dire caricare di significati improbabili luoghi, avvenimenti e personaggi che, lontani dal sacro fuoco domestico, avrebbero oggettivamente dimensioni ben più modeste. Di eroi, santi, principi e personaggi famosi sono piene zeppe le nostre storie municipali.
Quanti ponti attraversati da Annibale! Quante impronte di santi sulle rocce o sulle soglie delle chiese! Quante taverne che hanno rifocillato Garibaldi!
Non importa se non esiste un minimo di supporto documentato ed anche la tradizione popolare al riguardo è incerta: quando si riferisce al proprio paese tutto diventa possibile, anzi vero!
Così come chi, risalendo il proprio albero genealogico, cerca disperatamente un rivolo di sangue blu e, alla fine, finisce per trovarlo comunque.
In questo modo la leggenda prende il sopravvento sulla realtà, la fantasia sul rigore scientifico della ricerca; ed il percorso storico di una municipalità si trasforma, come in un caleidoscopio, in una cartolina per turisti, di quelle a fisarmonica, che si usavano una volta, o in una noiosa e stucchevole passerella di personaggi più o meno reali.
Ben altra cosa sono le vicende quotidiane di un popolo che attraverso i secoli ha vissuto speranze e delusioni, credenze e paure, entusiasmi e scetticismo, rivalità interne e con le comunità limitrofe, insomma l’intero bagaglio di costumi e tradizioni ereditato oggi, all’alba del terzo millennio.
Ben altra cosa davvero è la lotta quotidiana per la sopravvivenza, e la stratificazione di comportamenti individuali e collettivi che necessariamente ne deriva.
Come ha reagito e cosa ha pensato una piccola comunità arroccata sui monti dell’Appennino lucano di fronte alle tante calamità naturali: terremoti, epidemie, carestie? Come ha reagito e quanto ha partecipato la stessa comunità alle guerre, le rivoluzioni e tutti i grandi eventi che hanno caratterizzato la storia del Mezzogiorno d’Italia? Come viveva la prepotenza e l’arroganza dei feudatari locali e l’ingordigia fiscale di uno Stato sempre, per altri versi, così lontano da potersi paragonare ad una calamità sovrannaturale? Quale era la stratificazione sociale interna e quali i rapporti fra le varie componenti? Come e cosa si mangiava? Come ci si vestiva e come erano fatte le case? Come e dove si lavorava? Come si viaggiava? Come si nasceva e come si moriva? Come ci si sposava? Verso quali santi andava la vocazione popolare, e dove erano ubicati i luoghi di culto? Che nomi avevano nei secoli addietro le strade e i luoghi che noi conosciamo?
Sono solo alcune delle domande a cui ho cercato di dare una risposta.
Ma come, se non sei sicuro di saperlo e poterlo raccontare senza addormentare il lettore alla terza pagina?
Un sistema (ed io l’ho scelto, sperando di aver fatto cosa giusta) è quello di far raccontare se stessi e le proprie vicende agli stessi protagonisti, facendoli emergere dai polverosi documenti rinvenuti qua e là negli archivi di Stato, parrocchiali, diocesani, lasciando, dove possibile, anche il loro linguaggio.
Il tutto in un equilibrio sempre precario, con il rischio costante di scivolare nella banalità, o di non riuscire a dare vita ai personaggi e vigore agli avvenimenti.
Quando i nomi delle persone e dei luoghi che spuntano dai documenti si incrociano e si confrontano con quelli che emergono dai propri ricordi personali o dal ricordo dei racconti ascoltati nell’infanzia, allora cominciano ad affastellarsi ed a minare seriamente la serenità di giudizio, il distacco necessario per procedere in un lavoro scientifico. Immagini e figure, di ogni genere e di ogni epoca, si accalcano dietro il sipario, reclamando a ragione ognuna di entrare in scena, se non altro perché forse è l’unica occasione e il tempo o un incendio le farà sparire del tutto, o nessuno più andrà a cercarle. Ma per tutte non può esserci posto, a meno di non allagare di superfluo e banalizzare ciò che stai raccontando, ed è difficile ed anche doloroso operare una scelta, perché resta la sensazione che tutte ti appartengono ed a tutte sei in qualche modo legato.
Con queste premesse è maturata in me la convinzione di scrivere una storia de la Terra del Sasso, così come veniva chiamato nel lontano passato questo paese, e non di Sasso di Castalda, che è un appellativo postunitario. È nata la determinazione di fermarmi alla seconda metà dell’ottocento, subito dopo l’unificazione d’Italia, il brigantaggio e le prime emigrazioni.
Da quegli anni la storia di Sasso cambia totalmente: un’intera classe dirigente, che per secoli aveva retto, nel bene e nel male, le sorti di questa comunità, viene spazzata via e sostituita da nuovi amministratori, che usano metodi diversi, nuove leggi; l’eversione della feudalità, l’espropriazione dei beni ecclesiastici, con la conseguente drastica riduzione del clero, e lo sconvolgimento economico e sociale pressoché totale che questi due eventi provocarono (si pensi a cosa avevano rappresentato nell’economia rurale i prestiti della cassa sacra, il fitto e la mezzadria, il legnaggio e l’erbaggio); le ondate migratorie (che non sempre erano di poveri disperati, ma qualche volta di veri e propri rudimentali imprenditori o artigiani che si trasferivano con capitali in Sud America o negli Stati Uniti e ritornavano dopo qualche anno “arricchiti”); lo spopolamento e di conseguenza la maggior forza contrattuale e, forse la maggiore coscienza, della manodopera bracciantile: tutto quanto contribuì ad instaurare nella comunità cittadina, non senza drammi e tensioni, un sistema di rapporti totalmente diverso e, per altri aspetti, ne disperse la peculiarità, accomunandola a tutte le altre realtà, meridionali e non, tagliate fuori dai grandi traffici e dalla rivoluzione industriale.
Grandi tematiche, troppo importanti e delicate perché io potessi affrontarle compiutamente e serenamente insieme a questo lavoro; completamente diverse la predisposizione mentale e l’impostazione metodologica necessarie per affrontare temi di storia contemporanea che rasentano continuamente la cronaca giornalistica. Non si tratta più di scavare o di cercare pazientemente in giro qualche elemento riconducibile all’argomento che stai trattando, ma piuttosto di scegliere in mezzo ad una montagna di notizie utili ed inutili i pezzi giusti per comporre un puzzle credibile.
Si capisce dunque che tutto questo ha rappresentato un’esperienza faticosissima e comunque straordinaria, che spero di poter offrire come un utile contributo alla conoscenza ed a un processo di identificazione forte della mia terra e della mia gente.
Se tutto questo sarà riuscito almeno in parte, se uno solo dei miei concittadini avrà trovato in questo lavoro motivo di interesse e, magari, stimoli sufficienti per dedicarsi a continuarlo o ad operare approfondimenti, per me sarà motivo di grande soddisfazione ed orgoglio che ripagherà tutte le fatiche occorse.(...)
Grazie a tutti: se qualcuno troverà interessanti queste pagine, il mio e il vostro lavoro non sarà stato vano.
Sasso di Castalda 15 marzo 2005
La storia
I parte
I Capitolo
Il territorio di Sasso di Castalda nell’età classica
La prima notizia documentata sull’esistenza di una comunità riferibile a Sasso di Castalda risale all’anno del Signore 1163.
Questo non significa tuttavia che in precedenza fossero solo foreste e il sito fosse disabitato. Segni certi di frequentazione umana nell’agro di Sasso, fin da epoche più remote, si sono rese evidenti nel corso del secolo scorso, sebbene in modo del tutto occasionale, perché una campagna di scavi nell’area non è mai stata effettuata.
Diversi manufatti in terracotta sono venuti alla luce in località Boscarelli , in tre diversi siti, distanti fra di loro qualche centinaio di metri.
Un primo sito (in cui furono ritrovati alcuni vasi a vernice nera) è ubicato a ridosso del centro abitato, fra la contrada Boscarelli e la contrada Aia la Croce; un secondo sito (in cui furono ritrovati numerosi cocci e diversi vasi, sempre a prevalenza monocromatica nera, ma con qualche decorazione semplice, senza figure) si trova 200-300 metri più a valle, in direzione sud-occidentale; un terzo sito, ancora più a valle, sempre in direzione sud-occidentale, ha portato alla luce una grossa quantità di embrici in terracotta “di fattura molto antica”. Le caratteristiche dei manufatti sembrano ricondurre ad un’epoca di produzione preromana.
Si tratterebbe dunque di produzioni lucane o addirittura delle genti italiche che precedettero i lucani in queste valli.
Questa contrada dista circa 700-1000 metri a sud-ovest del nucleo originario di Sasso, in un’area di espansione urbanistica recente che nell’ultimo trentennio del XX secolo ha visto fiorire numerose abitazioni.
Per la storia dei Lucani, insediati in queste aree a partire dal V secolo a.C., si veda G. Custodero, Antichi popoli del Sud, Lecce 2000, pp 31-35. Vedi anche M. Taliercio Mensitieri, Le emissioni monetarie dei Lucani, in ”Storia della Basilicata” a cura di G. De Rosa e A. Cestaro, vol I (l’Antichità), Bari 1999, pp 471-485. E comunque G. Racioppi, Storia dei Popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1902.
Potrebbe trattarsi dei Peuketiàntes, che sembra occupassero quest’area, fra gli Enotri a sud e i Dauni a Nord. Vedi la Terra di Eracle, Baragiano, centro di documentazione archeologica; schede tecniche 1-10, scheda 1, a cura di M. L. Nava e A. Russo, da cui è tratta la cartina. “… i Peuketiàntes – ci ricorda M. Tagliente in La Basilicata centro-settentrionale in età arcaica, in “Storia della Basilicata” a cura di G. De Rosa e A. Cestaio; vol I (l’antichità) a cura di D. Adamasteanu, Bari 1999, p 394 – ricordati dalla tradizione (Ecateo, fr. 57) come genti affini a quelle apule e confinanti con queste”. Si tratta di popolazioni raccolte in “…piccole comunità dedite ad un’economia basata sulla pastorizia e su un’agricoltura più che altro di sussistenza…” che andarono ad insediarsi su “…un territorio (la mesogaia appenninica) dal carattere prevalentemente montuoso o di alta collina…” ci precisa ancora M. Tagliente nel suo Itinerari fluviali e popolamento antico nel mondo indigeno della Basilicata, in “Archeologia dell’acqua in Basilicata”, Quaderni Basilicata Regione, Lavello 1999, p 91. Tuttavia Osanna ci fa riflettere che se è vero che “…una popolazione confinante con gli Enotri è nota da Ecateo, che ne ricorda l’etnico di Peuketiàntes…” bisogna anche riconoscere che “…il termine di Oinotria…per i Greci…sembra definire in maniera del tutto generica le genti stanziate fra Ionio e Tirreno, senza percezioni di eventuali articolazioni etniche, almeno per le genti più distanti, come quelle della Lucania nord-occidentale. Per i Greci gli abitanti della mesogaia lucana sono tutti Enotri…”: M. Osanna Un territorio dell’Italia antica – La Lucania nord-occidentale, in “Rituali per una dea lucana – il santuario di torre di Satriano”, a cura di M. L. Nava e M. Osanna, Quaderni Basilicata Regione, Potenza 2001, p 14. (...)
Tratto da libro di Rocco Perrone "Da Pietra Castalda a Sasso di Castalda"
Questo non significa tuttavia che in precedenza fossero solo foreste e il sito fosse disabitato. Segni certi di frequentazione umana nell’agro di Sasso, fin da epoche più remote, si sono rese evidenti nel corso del secolo scorso, sebbene in modo del tutto occasionale, perché una campagna di scavi nell’area non è mai stata effettuata.
Diversi manufatti in terracotta sono venuti alla luce in località Boscarelli , in tre diversi siti, distanti fra di loro qualche centinaio di metri.
Un primo sito (in cui furono ritrovati alcuni vasi a vernice nera) è ubicato a ridosso del centro abitato, fra la contrada Boscarelli e la contrada Aia la Croce; un secondo sito (in cui furono ritrovati numerosi cocci e diversi vasi, sempre a prevalenza monocromatica nera, ma con qualche decorazione semplice, senza figure) si trova 200-300 metri più a valle, in direzione sud-occidentale; un terzo sito, ancora più a valle, sempre in direzione sud-occidentale, ha portato alla luce una grossa quantità di embrici in terracotta “di fattura molto antica”. Le caratteristiche dei manufatti sembrano ricondurre ad un’epoca di produzione preromana.
Si tratterebbe dunque di produzioni lucane o addirittura delle genti italiche che precedettero i lucani in queste valli.
Questa contrada dista circa 700-1000 metri a sud-ovest del nucleo originario di Sasso, in un’area di espansione urbanistica recente che nell’ultimo trentennio del XX secolo ha visto fiorire numerose abitazioni.
Per la storia dei Lucani, insediati in queste aree a partire dal V secolo a.C., si veda G. Custodero, Antichi popoli del Sud, Lecce 2000, pp 31-35. Vedi anche M. Taliercio Mensitieri, Le emissioni monetarie dei Lucani, in ”Storia della Basilicata” a cura di G. De Rosa e A. Cestaro, vol I (l’Antichità), Bari 1999, pp 471-485. E comunque G. Racioppi, Storia dei Popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1902.
Potrebbe trattarsi dei Peuketiàntes, che sembra occupassero quest’area, fra gli Enotri a sud e i Dauni a Nord. Vedi la Terra di Eracle, Baragiano, centro di documentazione archeologica; schede tecniche 1-10, scheda 1, a cura di M. L. Nava e A. Russo, da cui è tratta la cartina. “… i Peuketiàntes – ci ricorda M. Tagliente in La Basilicata centro-settentrionale in età arcaica, in “Storia della Basilicata” a cura di G. De Rosa e A. Cestaio; vol I (l’antichità) a cura di D. Adamasteanu, Bari 1999, p 394 – ricordati dalla tradizione (Ecateo, fr. 57) come genti affini a quelle apule e confinanti con queste”. Si tratta di popolazioni raccolte in “…piccole comunità dedite ad un’economia basata sulla pastorizia e su un’agricoltura più che altro di sussistenza…” che andarono ad insediarsi su “…un territorio (la mesogaia appenninica) dal carattere prevalentemente montuoso o di alta collina…” ci precisa ancora M. Tagliente nel suo Itinerari fluviali e popolamento antico nel mondo indigeno della Basilicata, in “Archeologia dell’acqua in Basilicata”, Quaderni Basilicata Regione, Lavello 1999, p 91. Tuttavia Osanna ci fa riflettere che se è vero che “…una popolazione confinante con gli Enotri è nota da Ecateo, che ne ricorda l’etnico di Peuketiàntes…” bisogna anche riconoscere che “…il termine di Oinotria…per i Greci…sembra definire in maniera del tutto generica le genti stanziate fra Ionio e Tirreno, senza percezioni di eventuali articolazioni etniche, almeno per le genti più distanti, come quelle della Lucania nord-occidentale. Per i Greci gli abitanti della mesogaia lucana sono tutti Enotri…”: M. Osanna Un territorio dell’Italia antica – La Lucania nord-occidentale, in “Rituali per una dea lucana – il santuario di torre di Satriano”, a cura di M. L. Nava e M. Osanna, Quaderni Basilicata Regione, Potenza 2001, p 14. (...)
Tratto da libro di Rocco Perrone "Da Pietra Castalda a Sasso di Castalda"
Personaggi illustri
Rocco Petrone
« La via che conduce alla Luna è pavimentata di mattoni, di acciaio e calcestruzzo qui, sulla Terra, e non può essere percorsa senza il rigoroso e meno noto lavoro di integrazione e collaudo delle attrezzature di lancio». (Rocco Petrone) Nato ad Amsterdam di New York da genitori entrambi sassesi, direttore dell'operazione di lancio del John F. Kennedy Space Center, ha lavorato per la NASA entrando a far parte del quartier generale. Da qui il nome "ponte alla luna"!!! |
Francesco Antonio De Luca
Nato a Sasso nel 1812, divenne sacerdote, in seguito filologo e filosofo spiritualista, pubblicò un'opera dal tema “Saggio ontologico delle dottrine dell'Aquinate e del Vico”. Di lui resta anche una grammatica latina.
Mariele Ventre
Nata a Bologna nel 1939, sassese per parte di madre, ha fondato e diretto il celeberrimo Coro dell'Antoniano. A lei è intitolato il teatro comunale.
Mimmo Beneventano
Nato a Petina (Sa), sassese per parte paterna, medico chirurgo presso l'ospedale S. Gennaro di Napoli, ha ricoperto la carica di consigliere comunale fino alla sua morte avvenuta per mano della camorra il 07 novembre 1980. A lui è stato dedicato un largo del paese.
Mons. Giuseppe De Luca
Nato a Sasso di Castalda il 24 aprile 1865 .
Suo intimo desiderio da sempre fu quello di farsi prete , ad orientarlo fu lo zio Don Antonio D'Elia che essendo parroco a Montevideo , lo fece studiare nel Seminario dell'Uruguay .
Costruì le fondamenta di una chiesa parrocchiale , una scuola , aprì un salone per il circolo cattolico operaio .
Fondò e moltiplicò fino ad una ventina le associazioni cattoliche ; eresse una casa canonica e creò un santuario , che oggi è il santuario nazionale del Verdun .
Nominato arciprete di Sasso di Castalda , fece restaurare la chiesa parrocchiale che volle intitolare alla Immacolata Concezione , la cappella della Pietà , organizzò la gioventù cattolica, favorì le opere di assistenza ai bisognosi .
L'aggravarsi del suo stato di salute lo spinse il primo aprile 1937 a rinunciare all'arcipretura . Morì il 22 maggio 1956.
Don Giuseppe De Luca junior
Nacque a Sasso di Castalda nel 1898,rimase presto orfano di madre e per questo ricevette la prima educazione presso la nonna materna a Brienza, ove restò sino alla fine della quarta elementare.
Successivamente per volere dello zio Don D'Elia si iscrisse al seminario minore, ubicato in S. Apollinare, poi seguì il seminario maggiore sito in S.Pietro in Vincoli.
Durante tale formazione acquisì l'amore per i libri che cominciò a raccogliere e custodire nella sua ricca biblioteca.
Il suo amore per la cultura fu tale da non escludere nel suo grande progetto,ovvero Le Edizioni di Storia e Letteratura, nessun autore religioso e non, fu, infatti, l'unico sacerdote ad intrattenere rapporti con uomini politici del tempo.
Sottolineò, però, di essere interessato non alla politica, ma ai politici.
L'invito che rivolge a costoro è quello di tenere alta la bandiera della ricerca intellettuale invitandoli a farsi promotori e sostenitori di iniziative culturali tralasciando le barrire tipiche e caratteristiche di ogni ideologia.
Animatore della cultura del Novecento, scrisse per l'Osservatore romano e curò alcune pagine del noto giornale di Bottai: “Critica fascista”.
Don Giuseppe non si interessò del Fascismo,bensì voleva che il fascismo si interessasse anche della dimensione culturale presente nella nostra Nazione.
Fu amico di Papini, Ungaretti, Prezzolini, Palmiro Togliatti . Con quest'ultimo, Don Giuseppe ebbe non pochi incontri, di certo non di interesse politico, ma volti a richiamare l'attenzione sullo stato culturale in cui versava l'Italia dell' epoca.
Nutrì interesse per la situazione del clero nei paesi dell'Est, memorabile fu il contributo che apportò a favore dell'avvicinamento tra URSS e Santa Sede.
Morì nel 1962 lasciando in tutti un gran ricordo non solo dal punto di vista editoriale, ma soprattutto umano: fu il prete romano che instaurò più rapporti di amicizia per richiamare a sé più fonti da cui poi poter attingere.
Nato a Sasso nel 1812, divenne sacerdote, in seguito filologo e filosofo spiritualista, pubblicò un'opera dal tema “Saggio ontologico delle dottrine dell'Aquinate e del Vico”. Di lui resta anche una grammatica latina.
Mariele Ventre
Nata a Bologna nel 1939, sassese per parte di madre, ha fondato e diretto il celeberrimo Coro dell'Antoniano. A lei è intitolato il teatro comunale.
Mimmo Beneventano
Nato a Petina (Sa), sassese per parte paterna, medico chirurgo presso l'ospedale S. Gennaro di Napoli, ha ricoperto la carica di consigliere comunale fino alla sua morte avvenuta per mano della camorra il 07 novembre 1980. A lui è stato dedicato un largo del paese.
Mons. Giuseppe De Luca
Nato a Sasso di Castalda il 24 aprile 1865 .
Suo intimo desiderio da sempre fu quello di farsi prete , ad orientarlo fu lo zio Don Antonio D'Elia che essendo parroco a Montevideo , lo fece studiare nel Seminario dell'Uruguay .
Costruì le fondamenta di una chiesa parrocchiale , una scuola , aprì un salone per il circolo cattolico operaio .
Fondò e moltiplicò fino ad una ventina le associazioni cattoliche ; eresse una casa canonica e creò un santuario , che oggi è il santuario nazionale del Verdun .
Nominato arciprete di Sasso di Castalda , fece restaurare la chiesa parrocchiale che volle intitolare alla Immacolata Concezione , la cappella della Pietà , organizzò la gioventù cattolica, favorì le opere di assistenza ai bisognosi .
L'aggravarsi del suo stato di salute lo spinse il primo aprile 1937 a rinunciare all'arcipretura . Morì il 22 maggio 1956.
Don Giuseppe De Luca junior
Nacque a Sasso di Castalda nel 1898,rimase presto orfano di madre e per questo ricevette la prima educazione presso la nonna materna a Brienza, ove restò sino alla fine della quarta elementare.
Successivamente per volere dello zio Don D'Elia si iscrisse al seminario minore, ubicato in S. Apollinare, poi seguì il seminario maggiore sito in S.Pietro in Vincoli.
Durante tale formazione acquisì l'amore per i libri che cominciò a raccogliere e custodire nella sua ricca biblioteca.
Il suo amore per la cultura fu tale da non escludere nel suo grande progetto,ovvero Le Edizioni di Storia e Letteratura, nessun autore religioso e non, fu, infatti, l'unico sacerdote ad intrattenere rapporti con uomini politici del tempo.
Sottolineò, però, di essere interessato non alla politica, ma ai politici.
L'invito che rivolge a costoro è quello di tenere alta la bandiera della ricerca intellettuale invitandoli a farsi promotori e sostenitori di iniziative culturali tralasciando le barrire tipiche e caratteristiche di ogni ideologia.
Animatore della cultura del Novecento, scrisse per l'Osservatore romano e curò alcune pagine del noto giornale di Bottai: “Critica fascista”.
Don Giuseppe non si interessò del Fascismo,bensì voleva che il fascismo si interessasse anche della dimensione culturale presente nella nostra Nazione.
Fu amico di Papini, Ungaretti, Prezzolini, Palmiro Togliatti . Con quest'ultimo, Don Giuseppe ebbe non pochi incontri, di certo non di interesse politico, ma volti a richiamare l'attenzione sullo stato culturale in cui versava l'Italia dell' epoca.
Nutrì interesse per la situazione del clero nei paesi dell'Est, memorabile fu il contributo che apportò a favore dell'avvicinamento tra URSS e Santa Sede.
Morì nel 1962 lasciando in tutti un gran ricordo non solo dal punto di vista editoriale, ma soprattutto umano: fu il prete romano che instaurò più rapporti di amicizia per richiamare a sé più fonti da cui poi poter attingere.
Sasso di Castalda oggi
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